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Cos’è cambiato con il petrolio dei dati personali

La domanda ricorrente che svetta su tutte le altre all’inizio dei corsi di formazione è: “Perché l’Unione Europea ha introdotto un Regolamento così complesso per la tutela dei dati personali?”. Le prime volte che ho risposto a questa domanda ho citato le parole del Prof. Stefano Rodotà, primo Garante della Privacy italiano, in base alle quali “qui non si discute solo di protezione dei dati, ma in realtà senza una forte tutela delle informazioni che le riguardano, le persone rischiano sempre di più d’essere discriminate per le loro opinioni, credenze religiose, condizioni di salute, preferenze politiche, ecc.”.

Tutto vero, come dimostrato dagli scandali emersi ad esempio quello di Cambridge Analytica in UK. Ma era un concetto percepito come troppo astratto, elitario, di nessun interesse per chi ascoltava.

Allora ho cambiato completamente il mio approccio ed ho cominciato a parlare nei primi minuti dei corsi del numero degli abitanti della terra, di soldi raccolti dalle piattaforme digitali, di potere, di consensi mai chiesti, di controllo degli spostamenti individuali, di profilazione non richiesta e di cui non è messi al corrente. E questo linguaggio è arrivato a tutti. Forte e chiaro.

Se ci limitiamo ai numeri, il business più importante di questa fase storica è quello della raccolta e sfruttamento di dati personali, che ha oltrepassato molti altri settori economici considerati da sempre trainanti, come l’energia, l’automobilistico, l’aerospaziale, il chimico-farmaceutico e quello dei media.

Oggi il “prodotto” siamo noi: i nostri dati, i nostri like, le nostre preferenze, le nostre ricerche sul web, quanti e che tipo di amici abbiamo, quante e quali APP abbiamo scaricato, che luoghi frequentiamo, che musica ascoltiamo, che cosa leggiamo, quali film andiamo a vedere e vi assicuro che potrei continuare all’infinito.

La pubblicità è diventata ormai un business online che vale molte centinaia di miliardi di dollari, ma che è dominato da un numero ristretto di società, anzi direi che è un duopolio visto che Google e Facebook si spartiscono il 61,4% della pubblicità internet mondiale per un totale di 176,4 miliardi di dollari (fonte WARC, gennaio 2020). All’interno della pubblicità su internet, il Mobile crescerà ancora del 21,9% per arrivare a scalzare nel prossimo futuro anche la pubblicità televisiva. Quindi il digitale ha sorpassato l’”analogico”.

Figura 1 Pubblicità online nel mondo (valori in miliardi di dollari)

Pubblicità online nel mondo

Fonte: Data Room (Milena Gabanelli) Ott. 2019

È chiaro ormai che controllare i dati delle persone vuol dire condizionarne i comportamenti e gli orientamenti. O in modo diretto, o in modo indiretto. Ricordo ancora l’irritazione dell’opinione pubblica negli anni ’70 contro l’uso dagli inserti subliminali nelle proiezioni, attraverso l’inserimento di brevi fotogrammi (“bevi la bevanda X” e “mangia i popcorn”) che aumentavano effettivamente i consumi dei prodotti in questione durante i film o gli spettacoli televisivi. E tutti erano convinti che venissero usati in modo indiscriminato a causa della potenza dei colossi della pubblicità e dei media.

Ma perché adesso non ci scandalizziamo più per nessun tipo di abuso sui nostri dati personali o per la violazione di qualsiasi nostro spazio di riservatezza? La risposta è semplice: perché non lo vogliamo vedere e non ci interessa. Non ne capiamo veramente le implicazioni e la potenza di condizionamento.

Ma qual è il condizionamento?

Condizionamento è quando veniamo scartati ad un colloquio di assunzione anche se eravamo i più qualificati per quel ruolo, oppure non riceviamo un’offerta allettante per un certo prodotto di nostro interesse anche se siamo un consumatore alto spendente, oppure se ci consigliano di votare il candidato Rossi perché Verdi ha divulgato i segreti della nazione attraverso canali non protetti. Quest’ultima notizia magari è una fake news, ma perché dovrei perdere tempo a verificarla? Nel mondo sviluppato gli algoritmi hanno preso piede e decidono chi deve venire assunto introducendo nel giudizio variabili sconosciute e, magari, sbagliate.

Cosa ci riserva il prossimo futuro?

Una crescita esponenziale del traffico di dati online (Figura 2), il ricorso massiccio all’Intelligenza Artificiale, l’affermarsi degli oggetti connessi e mille altre tecnologie di tracciamento, di assistenza virtuale, di machine learning che tutto sono tranne che rispettosi della privacy e della libertà di scelta individuale proprio perché vogliono incidere su quelle scelte, vogliono piegarle a degli interessi che sono nascosti dietro algoritmi.

  Figura 2 Crescita del traffico online nel mondo 2017-2022

Crescita del traffico online nel mondo 2017-2022

Fonte: Il Sole 24 Ore – Gennaio 2020 – ringraziamo la casa editrici per l’autorizzazione all’utilizzo delle immagini riprodotte

A quel punto saremo ancora insensibili all’utilizzo indiscriminato ed all’abuso dei nostri dati personali?
Io penso di no. Penso che arriverà un’inversione di tendenza e la gran parte degli interessati pretenderanno che ci sia una maggiore trasparenza sui criteri di scelta di un candidato in una selezione di personale o di un’elezione politica e pretenderanno di sapere quali interessi si celano dietro i messaggi che ci raggiungono attraverso messaggi e post di Facebook, Twitter o di una piattaforma ancora non esistente che ci forniscono fake news. E ci dicano in quale modalità gli algoritmi stanno operando.

Ma ci pensate? Tutte le organizzazioni che dovranno spiegare e dichiarare come agisce un algoritmo di profilazione e che dovranno rendere conto di come hanno utilizzato il patrimonio di dati personali che hanno raccolto nel tempo. Perché questa volta i cittadini avranno capito che la loro libertà dipenderà da come questi dati siano stati gestiti e tutelati. Questa evoluzione sarebbe stata gradito dal Prof. Rodotà quando parlava di “privacy come uno strumento necessario per difendere la società della libertà, e per opporsi alle spinte verso la costruzione di una società della sorveglianza, della classificazione, della selezione sociale”. Il cerchio si chiude.

Il Regolamento europeo GDPR serve soprattutto a questo: impedire forme di limitazione delle libertà individuali dovute ad una mappatura indiscriminata dei soggetti e delle organizzazioni sociali che mira a condizionare le scelte sociali, politiche ed economiche. Il presidente Sandro Pertini, antifascista ed egli stesso torturato dai nazisti durante la II Guerra mondiale, in un appassionato messaggio di fine anno rivolto agli italiani nel 1979 espresse questo pensiero: “Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie”.

E condivido quanto affermato dal Prof. Pizzetti, professore di Diritto Costituzionale ex Garante Privacy, che “l’Italia e l’Europa non ha nessuna speranza di riprendere lo sviluppo o di arrestare il degrado se non realizza che il futuro è l’economia digitale e che per sviluppare l’economia digitale è necessario sviluppare la fiducia dei cittadini”. (8° Privacy Day, Pisa 2019).

 


Francesco Speciale